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Il diagramma di Hayek

di Pietro Di Muccio de Quattro

Ian Bremmer ha scritto sul Corriere della Sera che “a livello globale, i valori liberali, come il rispetto delle leggi, i diritti umani, il libero mercato e le frontiere aperte, sono ancora alla ricerca di un paladino”. Lasciamo stare il “livello globale”, se cioè questo paladino siano gli Stati Uniti o l’Unione europea, e quanto lo siano o vogliano o possano esserlo. Occupiamoci del livello locale, dell’Italia. Da quando sono state introdotte le liste bloccate e nonostante il blando temperamento dell’ultima legge elettorale, il nostro sistema politico ha cessato d’essere una vera e propria democrazia. E’ stato deliberatamente pervertito in un’oligarchia temperata dal voto, come non mi stanco di definirla. Hanno dimenticato che con il porcellum la scheda elettorale non conteneva neppure i nomi dei candidati bensì soltanto rotondi e colorati simboli di partito, non dissimili dai tappi delle birre, in assoluta contraddizione con il concetto stesso di elezione, cioè scelta, dei parlamentari?
In questa oligarchia, esiste il paladino dei “valori liberali”? Sarò miope e presbite, io non lo scorgo. Non mi riferisco, ovviamente, a singole persone, che, per quanto non abbondino, esistono tuttavia e sono di valore in ogni campo della società. Alludo ad una formazione politica rea confessa del reato di liberalismo classico. Ne avemmo una nel 1994, che ha il merito storico di aver fermato gli epigoni ancora pericolosi del comunismo italico. Ma essa, da “partito liberale di massa”, a cui aspirava, si trasformò ben presto in “partito liberale di messa”, i cui fedeli celebrarono la funzione alla maniera di Andreotti, secondo la quale, in chiesa, mentre De Gasperi si rivolgeva a Dio, i democristiani parlavano con il prete. Oggi è di moda affermare che le ideologie sono finite. Per esempio, il più grande partito italiano proclama d’essere né di destra né di sinistra; e gli altri, senza dirlo, lo pensano ugualmente. Pur di acchiappare voti, i partiti truccano i connotati sulla carta d’identità.
Aveva ragione Longanesi: “Il moderno invecchia; il vecchio ritorna di moda”. Il vecchio dell’Italia, il vero Grande Vecchio nostrano è l’eterno trasformismo, nel quale moderni invecchiati e vecchi mondani sono del pari mascherati da “nuovisti”, bensì impegnati in forsennato tiro alla fune, tuttavia restando inevitabilmente sulla stessa linea di trazione. Come pensava Hayek, il liberale differisce tanto dal progressista (Sinistra) quanto ne differisce il conservatore (Destra): “Mentre il conservatore offre semplicemente una versione moderata dei pregiudizi del suo tempo, il liberale oggi deve opporsi in modo più positivo ad alcune delle idee fondamentali, condivise in gran parte da conservatori e socialisti.”
Permane gigantesca un’esigenza insoddisfatta della storia nazionale del ’900: la formazione di un vero partito del liberalismo. I liberali, quelli veri cosiddetti classici, non appartengono né alla destra né alla sinistra. Non sono né socialisti né conservatori. L’idea che i liberali si trovino in qualche punto al centro dello schieramento è, al contempo, vaga, equivoca, perdente. Non chiarisce affatto i reali rapporti reciproci tra socialprogressisti (Sinistra), conservatori antagonisti (Destra), liberali tout court. “Se vogliamo un diagramma – ha scritto Hayek, un classico che troppi liberalucci e sedicenti liberali contemporanei disprezzano alla stregua d’un oscurantista reazionario – sarebbe più appropriato disporli in triangolo, mettendo i conservatori in un angolo, con i socialisti che tirano verso il secondo angolo e i liberali verso il terzo.”
Il partito del liberalismo è indispensabile che proceda secondo il diagramma di Hayek. Diversamente sarà un partito tra tanti, di cui non s’avverte il bisogno. I fautori della via di mezzo (i “moderati” senza qualità aristotelica!) ma privi della tensione coerente con la loro specifica direzione, finiscono con il convincersi che la verità sta tra i due estremi e, non volendolo, seguono lo spostamento impresso dagli altri. Senza accorgersene, mutano posizione mantenendo le distanze, però facendosi trascinare sull’altrui terreno. Insomma, come diceva Demostene di Filippo, il loro nemico diventa il loro stratega.

Newsletter – Anno XVIII – n. 366 – 15 aprile 2018

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