Salvate il soldato Matteo
di Vincenzo Olita
Il ricordo del film di Steven Spielberg, con il rifiuto del soldato Ryan di abbandonare la sua compagnia a seguito di tragiche notizie familiari, sovviene a proposito della caparbietà del segretario del PD, delle confuse notizie provenienti dalla galassia politica alla sua sinistra e degli scricchiolii della minoranza del suo partito. Nella nostra news del 12 dicembre 2016 “Dimissioni o Continuità?” si sottolineava che “il futuro è ancora nelle mani di Renzi e nella sua personale capacità di analisi, se amici e consiglieri validi scarseggiano il suo futuro politico dovrà salvaguardarlo da solo, ci riuscirà se saprà dare spessore e concretezza alle sue dimissioni lontano da interessate sirene, altrimenti, la sua rivincita politica sarà irrimediabilmente compromessa”. E così sembra essere.
Dalle dimissioni in poi un’ondivaga linea politica ha caratterizzato la sua strategia, oscillante tra la certezza di un’ autosufficienza sua e della sua liquida e, contemporaneamente, bulgara classe dirigente, incapace di una complementare elaborazione politica, e i timidi scomposti tentativi di autocritica. L’incertezza ha contribuito ai deludenti risultati elettorali e ancor più alla scelta di una pessima legge elettorale che, tra l’altro, rischia di favorire il centrodestra e “risulta incomprensibile alla maggioranza degli elettori, come lo è anche per un’aliquota di addetti ai lavori – parte degli stessi ambienti politici favorevoli alla nuova legge non ne saprebbe valutare gli effetti”- vedi news 30 ottobre 2017.
E’ la stessa confusione che lo porta a dare credito elettorale ad una scheggia del mondo radicale della Bonino e Della Vedova, pellegrino in tante formazioni politiche, del resto siamo il Paese in cui basta rilasciare fantasiose interviste per ritrovarsi leader di mai nate formazioni politiche, Parisi e Passera, Pisapia e Sala, Pizzarotti e Tosi insegnano. La perdita di lucidità del segretario e il disorientamento che pervade il PD non è solo affare di una parte politica, dopo le elezioni, sia in caso di vittoria che di sconfitta, la democrazia e quindi il Paese bisognano di una sinistra moderata e riformatrice, capace di perseguire chiari obiettivi nel quadro di una coerente intelligibile strategia, pena la stabilità dell’intero quadro politico. Se la funzione della dirigenza di una formazione politica è quella di coadiuvare, criticamente e con intelligenza, il vertice, compito di quella democratica è di salvare il soldato Matteo dalle sue certezze, pena il ricoprire un banale ruolo di osannanti replicanti.
Newsletter – Anno XVII – n. 350 del 17 novembre 2017