Autostrade: incrementi di pedaggi senza giustificazioni.
di Giorgio Ragazzi
Quest’anno l’incremento medio dei pedaggi autostradali è straordinariamente elevato, 2,74%, ed appare immotivato ed incomprensibile a fronte di un’inflazione che si è attestata sullo 0,5%. Secondo il Ministero delle Infrastrutture gli aumenti dei pedaggi oltre l’inflazione sarebbero dovuti alla necessità di remunerare gli investimenti. Non si capisce però quali siano questi grandiosi investimenti, visto che questi in realtà continuano a scendere da anni, da una media di 2,4 miliardi nel 2008-2015 a meno di un miliardo nel 2016 e 2017. Non si capisce poi perché gli investimenti debbano essere interamente remunerati con incrementi di pedaggi, come se non avessero una loro redditività: nuove corsie sono necessarie per consentire l’incremento del traffico che genera maggiori introiti per la concessionaria, che potrebbe quindi ripagarsi così l’investimento anche senza incrementi di tariffa. Non si capisce infine perché il Ministero debba assicurare comunque alle concessionarie un rendimento dell’8% circa su ogni investimento, quando da anni il rendimento del capitale senza rischio è addirittura negativo, e di rischi le concessionarie non ne corrono proprio.
I ricavi da pedaggi (al netto di imposte e canoni) sono aumentati del 16,7% nei tre anni 2013-2016 contro un aumento dei prezzi dello 0,6%, ed hanno raggiunto 5,7 miliardi nel 2016, cioè sei volte gli investimenti effettuati in quell’anno. La differenza è tutto flusso di cassa che finisce in pingui dividendi ed anche in investimenti all’estero. Sono dati che lasciano stupefatti pensando che sarebbe compito del Ministero tutelare gli utenti a fronte di monopoli naturali come le autostrade.
Per la società Autostrade (per l’Italia!) l’incremento è stato dell’1,51%, di cui circa uno 0,3% per compensare l’inflazione ed il resto per remunerare investimenti. Ma quali investimenti? A fine anno scorso la società doveva terminare ancora il 14% degli investimenti previsti nel IV atto aggiuntivo siglato nel 2002 e non aveva ancora iniziato quelli previsti nella convenzione del 2008. Le società controllate avevano effettuato meno di un quarto degli investimenti previsti.
Su uno dei tratti più ricchi, la Milano- Brescia, l’incremento concesso è stato del 4,69% pur in assenza di rilevanti investimenti, oltre al regalo della proroga della concessione. Sulla Milano-Torino un altro forte incremento, l’8,34%, si aggiunge ai fortissimi aumenti ottenuti negli anni passati, apparentemente per remunerare il costo della terza corsia che sta per essere finita dopo quasi due decenni e per la quale già nel 1999 la società aveva ottenuto una lunga proroga: pare che questa terza corsia venga pagata alla società due volte, oltre ai maggiori ricavi conseguenti all’aumento del traffico. I gruppo Gavio (SIAS) nel complesso è riuscito a spuntare un incremento medio del 3%: più bravi del gruppo Autostrade per l’Italia.
Per alcune altre tratte gli incrementi paiono fantasiosi, 13,9% per la Milano- Serravalle o 12,9% per la Roma- Termoli. Incrementi tanto disparati riflettono sia la grande varietà di regole recepite nelle convenzioni, anche a scelta del concessionario, sia una gestione sussultoria dei rinnovi dei piani finanziari che sembra tener in nessun conto gli effetti sugli utenti di incrementi tanto rilevanti.
Questa delle concessioni autostradali è una sacca di rendita che aggrava di molto i costi della mobilità senza alcun beneficio per la collettività, considerando che gli azionisti delle concessionarie non hanno mai versato capitali di rilievo. Tutto è sempre stato finanziato a debito, ripagato con i pedaggi.
Questo governo si è rilevato il più generoso di sempre verso le concessionarie, non solo per gli incrementi di pedaggio concessi ma anche e soprattutto per le molte proroghe di concessioni elargite e promesse.
Newsletter – Anno XVIII – n. 356 del 23 gennaio 201823