Attentato alla libertà
di Pietro Di Muccio de Quattro
I mezzi di comunicazione non hanno dedicato la dovuta attenzione alla proposta dei “contrattisti” di abolire il divieto di mandato imperativo (per incidens, cosa diversa da istituire il mandato imperativo) sancito dall’articolo 67 della Costituzione, che stabilisce: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita la sue funzioni senza vincolo di mandato”. Gli autori della proposta, messa nero su bianco addirittura nel testo vincolante del programma di governo, intendono all’evidenza perseguire il controllo ancor più stringente sui parlamentari, già assoggettati ad un potere inaccettabile dei capi partito, che sostanzialmente li nominano attraverso le elezioni (ragion per cui non mi stanco di definire la nostra non già una piena democrazia ma “un’oligarchia temperata dal voto”). Il paradosso della vergognosa proposta sta in ciò, che i proponenti, cercando di accreditarsi come neodifensori della sovranità popolare, perseguono di fatto una partitocrazia più partitocratica di quella che conoscemmo al tramonto della prima Repubblica, che la mortificò fino a corromperla. Infatti, abolito il divieto di mandato imperativo, i partiti non sarebbero più trattenuti da nulla nell’inventare altri vincoli, occulti e no, legali e no, oltre gli attuali esistenti, per tenere a cavezza deputati e senatori.
E’ importante notare che nell’Assemblea costituente l’art.67 fu approvato senza discussione! Nella sottocommissione fu sostenuto che, sebbene la disposizione avesse avuto “la sua ragion d’essere nei tempi passati e col collegio uninominale, oggi non servirebbe ad allentare i vincoli tra l’eletto e il partito”. Tuttavia fu osservato che, senza la norma, “il silenzio costituzionale” avrebbe potuto essere inteso anche in un senso diverso dagli intendimenti della sottocommissione. Mentre fu facile l’accordo sulla prima parte dell’articolo (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”), sulla seconda invece affiorò un dissenso da parte di chi era convinto che “i deputati sono tutti vincolati a un mandato: si presentano difatti alle elezioni sostenendo un programma, un orientamento politico particolare”.
Il vincolo di gruppo parlamentare, le dimissioni in bianco, il contratto per dimissioni anticipate, le dimissioni per abbandono del partito, a parte la loro legalità, son alcuni mezzi tentati o attuati per assoggettare i parlamentari alla disciplina di partito a prescindere dall’elezione. Tra la mancanza in Costituzione del divieto di mandato imperativo e la prescrizione costituzionale del mandato imperativo esiterebbe tuttavia un campo vastissimo di possibilità di regolare con leggi e/o accordi il legame di soggezione tra membri del Parlamento e partiti di candidatura. A mano a mano che tale legame viene stretto come un noto scorsoio, il parlamentare perde gradualmente sia la libertà di votare in coscienza secondo gl’indirizzi di partito, sia la libertà di sottrarsene in coscienza. Ma il nodo scorsoio del controllo dei partiti sugli eletti può essere tirato fino a farne il cappio che li impicca alla forca della dipendenza assoluta. Così da rendere i parlamentari neppure mandatari di un collegio elettorale o di un partito politico, bensì inanimati e inerti pupi di un singolo puparo. A che servirebbero deputati del genere? A che servirebbe un Parlamento del genere? Questo e quelli verrebbero fatti regredire alla condizione medievale della rappresentanza, niente a che vedere con l’istituzione politica rappresentativa per eccellenza: un regresso perpetrato da parlamentari ignoranti della loro propria natura, essenza, funzione.
Il deliberato proposito di procedere verso tale regredita condizione costituisce di per sé un attentato alla libertà tout court. Infatti la libertà, come siamo stati abituati a concepirla e praticarla nell’epoca moderna, è strettamente intrecciata alla nascita e all’affermazione del Parlamento come abbiamo appreso ad apprezzarlo dalla storia britannica, all’inizio, e dopo dalla storia francese e americana, fino alla nostra. Il mandato imperativo, prescritto o volontario, non elimina soltanto l’indipendenza del deputato, ma perverte la natura del Parlamento e conculca la libertà dei cittadini: indipendenza, natura, libertà che sono indissolubilmente connesse. Un semplice sguardo ai sistemi politici, dove tale connessione è stata allentata, lo dimostra. La proposta di limitare, svilire, cancellare il divieto di mandato imperativo rappresenta altresì un attentato alla stessa democrazia perché impedisce alla sovranità popolare di dispiegarsi nella rappresentanza politica e parlamentare davvero libera.
Non si tratta di un dettaglio istituzionale, ma di una rivoluzione, di un infame attentato. Bisogna rivoltarsi contro di esso e appellarsi a deputati e senatori degni del nome affinché impediscano anche la semplice menzione dell’obbrobrio nel programma di governo. Abbiamo un presidente della Repubblica che, dice lui, non è un notaio; abbiamo un’opposizione parlamentare, sedicente democratica e liberale; abbiamo dei media ribelli alla nascente maggioranza; abbiamo un’intellighenzia sempre pronta a protestare anche a sproposito in difesa della Costituzione; abbiamo un’opinione pubblica non del tutto frastornata. Che parli, che si opponga, che si ribellino, che protesti, che si faccia sentire!
Newsletter – anno XVIII – n. 370 – 25 maggio 2018