Scienza, Liberalismo e libertà individuali nell’Occidente del Terzo Millennio
Un saggio, questo di Angelo Maria Petroni, essenziale per la comprensione di una organica storia del Liberalismo. Infatti, il suo rapporto con l’evolversi della scienza moderna costituisce un ulteriore aspetto fondamentale di una visione del mondo centrata sulla liberà individuale e sulla limitazione del potere. A dispetto di irrisorie interpretazioni del Liberalismo, il saggio tratteggia una stringente panoramica sulla relazione tra scienza e libertà.
Scienza, Liberalismo e libertà individuali nell’Occidente del Terzo Millennio
di Angelo Maria Petroni *
La storia del liberalismo, dalla fine del “particolarismo medievale” ad oggi, è spesso vista come la storia delle istituzioni politiche, della teoria morale, del diritto e dell’economia. Questa visione è fondamentalmente corretta, dato che il liberalismo è una teoria della libertà individuale e delle regole ed istituzioni che la rendono possibile. Tuttavia questa visione ignora un altro aspetto del liberalismo che fu fondamentale per le sue origini; un aspetto che ha subito un lungo periodo di declino nel ventesimo secolo, ma che è divenuto cruciale a causa di una straordinaria accelerazione nel ritmo del progresso scientifico di oggi, in particolare nel settore biomedico e dell’Intelligenza Artificiale.
Quest’aspetto è costituito dalla stretta connessione tra liberalismo e scienze naturali. «L’uomo può sapere, perciò può essere libero»: questa formula – richiamata da Karl Popper – è uno dei fondamenti basilari su cui è stato costruito il liberalismo. La nascita della scienza moderna non ha significato soltanto una trasformazione del mondo naturale, ma anche una trasformazione del mondo morale, e persino una trasformazione del modo in cui gli umani percepivano se stessi. Invero, l’indagine scientifica – e in particolare la ricerca sperimentale – hanno assegnato un ruolo chiave alla libertà individuale di indagine della natura e alla ricerca della verità.
Le nozioni di libertà individuale e di istituzioni politiche basate sul principio della limitazione del potere sovrano (costituzionalismo) hanno trovato la loro controparte nell’idea della libertà di ricerca: tale libertà riguarda ogni uomo ed ogni comunità scientifica, libera di esprimere risultati teoretici e sperimentali, senza censura da parte di una qualsiasi autorità esterna, sia essa di natura politica o morale. È corretto dire che “la liberté des modernes”, per citare la famosa espressione di Benjamin Constant, è derivata dalla rivoluzione scientifica e dalla scienza moderna, non meno che dal costituzionalismo e dall’economia di mercato.
Se si vogliono due figure di riferimento, si pensi a John Locke ed a John Stuart Mill.
Fino ad Ottocento inoltrato, in particolare nei paesi anglosassoni, era chiaro a tutti che la “libertà di sapere” era una parte essenziale della libertà individuale; che le istituzioni politiche liberali erano strettamente connesse con le istituzioni scientifiche, e che il progresso scientifico era una componente chiave del progresso materiale in una libera economia di mercato.
La situazione cominciò a cambiare durante tale secolo, in particolare nell’Europa continentale, per due ragioni fondamentali. La prima fu che il pensiero socialista e positivista – specialmente francese; il suo più grande esponente fu Henri de Saint-Simon – considerava la scienza moderna e la tecnologia che la stessa rendeva possibile come uno strumento di pianificazione politica e sociale. I suoi sostenitori aderirono a principi che eliminavano la libertà individuale e rendevano la costruzione di un ordine cosiddetto “razionale” il loro obbiettivo chiave. La seconda ragione fu che un’ondata di nazionalismo politico ed economico si riversò su gran parte dell’Europa continentale. Lo Stato cominciò così ad intervenire nella ricerca scientifica e nelle sue istituzioni associate – università ed accademie incluse – con lo scopo di trasformarle in strumenti di dominio politico e militare, e di metterle al servizio di una visione protezionista e colbertiana dell’economia.
Tale situazione fu accentuata durante il ventesimo secolo con la nascita di regimi comunisti da un lato, e di regimi fascisti totalitari dall’altro; qui, la ricerca scientifica era soggetta al controllo dello Stato e legata agli obbiettivi dello Stato. In particolare, l’accoppiamento della scienza con la pianificazione economica fu uno degli elementi chiave della ideologia comunista.
Anche nel mondo occidentale, la scienza venne sempre più ad essere vista come una organizzazione su larga scala (la cosiddetta “Big Science”) all’interno della quale la libertà del singolo scienziato era secondaria – e addirittura controproducente – rispetto ai fini ultimi da perseguire. La scienza fu trasformata da un “ordine spontaneo” in un “ordine costruito” – per usare la celebre dicotomia di Friedrich Hayek e Michael Polanyi.
Questo mutamento trovò un complemento psicologico nell’approccio politico di parecchi scienziati, incluso uno dei più illustri scienziati del ventesimo secolo, Albert Einstein. La società non poteva più essere gestita secondo i principi del “vecchio” liberalismo e dell’economia di mercato, ma aveva invece da essere organizzata sulla base di cosiddetti “principi razionali” dedotti dalle scienze. In altri termini, la società doveva essere riorganizzata lungo linee socialiste. La scienza era uno strumento di questo cambiamento.
Questo stato di cose ha fatto sì che la teoria liberale contemporanea vedesse qualcosa di essenzialmente estraneo e persino pericoloso nelle scienze naturali e nella loro ideologia; quest’ultima sembrava fornire argomenti a favore di una restrizione della libertà individuale a favore di un ordine pianificato. Questo approccio ha avuto le sue giustificazioni, persino a livello sociologico. Invero, se guardiamo alla storia della principale associazione di intellettuali liberali, la Mont Pèlerin Society – fondata da von Hayek nel 1947 – si vede come pochi scienziati ne siano stati e ne siano membri.
Credo che i problemi oggi posti dal progresso biomedico e dall’Intelligenza Artificiale offrano un’opportunità straordinaria al liberalismo per riaffermare la sua posizione progressista e la sua perfetta complementarietà (e non separatezza o neutralità) ai principi che guidano la ricerca scientifica e l’ideale del progresso scientifico e tecnologico.
Da un punto di vista liberale, è essenziale che la nuova rivoluzione scientifica non sia accompagnata dallo stesso approccio ideologico che ha ostacolato lo sviluppo di una visione scientifica nell’era moderna e che ha ostacolato il sorgere del liberalismo.
Il liberalismo considera che l’avanzare della conoscenza è, di per se stesso, un valore etico fondamentale. La ricerca della verità è una delle caratteristiche più profondamente umane e non si concilia con l’esistenza di autorità superiori che stabiliscono cosa è permesso e cosa non è permesso sapere. Così, il desiderio di saperne di più quanto alla propria conformazione biologica, sino all’ultimo “mattone”, non è hybris, ma piuttosto una manifestazione di quella sete di conoscenza che spinge gli esseri umani a studiare la natura.
Il liberalismo vede l’avanzare della conoscenza come una fonte fondamentale del progresso umano, dal momento che è in particolare attraverso la conoscenza – associata a libere istituzioni politiche ed economiche che ne permettono le applicazioni pratiche – che la sofferenza umana viene ridotta. In realtà, ogni non necessaria limitazione imposta alla ricerca scientifica, per timore di ciò che potrebbe comportare per l’umanità, serve solo a perpetuare la sofferenza che potrebbe essere altrimenti alleviata.
Né può essere invocato il fatto che il progresso biomedico sarebbe “innaturale”. Il confine tra ciò che deve essere considerato “naturale” e ciò che non deve essere considerato tale dipende dai valori e dalle decisioni dell’uomo. E nulla è più legato alla cultura delle idee su ciò che costituisce la natura. Nel momento in cui le tecnologie biomediche ampliano l’orizzonte di ciò che è fattibile, i criteri per determinare ciò che è permesso e ciò che non lo è non possono in alcun modo dipendere da una pretesa distinzione tra ciò che è naturale e ciò che non lo è. I criteri possono solo sbocciare da principi chiari che siano razionalmente fondati sulla base del loro successo nell’indirizzare l’azione umana a beneficio di tutta l’umanità.
Mentre è vero che gli umani hanno sentimenti morali che si sono radicati nel tempo e che questi dovrebbero essere rispettati perché giocano un ruolo fondamentale nelle relazioni sociali, è nondimeno vero che le intuizioni morali e le norme evolvono costantemente. Come Popper ci ha insegnato, dobbiamo seguire una teoria razionale della tradizione, mentre i conservatori fanno invariabilmente prevalere le tradizioni sulla razionalità. Le tradizioni intellettuali, così come le tradizioni morali, dovrebbero essere apprezzate nella misura in cui incorporino una conoscenza obbiettiva e vera riguardo all’uomo ed alla società.
Il liberalismo, notoriamente, considera “The pretence of knowledge” – concetto ancora hayekiano – come uno degli errori fondamentali nella visione costruttivista della società. La pretesa di sapere più di ciò che sappiamo, e quindi di sostituire una cosciente pianificazione deliberata all’ordine spontaneo, rimpiazzando interamente le regole ereditate dall’evoluzione culturale, ha condotto alla “presunzione fatale” dei totalitarismi novecenteschi.
Comunque, dovrebbe essere messo in chiaro che la consapevolezza dei limiti della nostra conoscenza della natura e della società non ha nulla a che vedere con la credenza che dovremmo deliberatamente porre dei limiti all’avanzamento di tale conoscenza. Quest’ultima sarebbe una forma di superstizione non meno di quella rappresentata dalla “pretesa di sapere”.
Credo sia vero che la questione del progresso biomedico e dell’Intelligenza Artificiale è la prima, grande domanda che si presenta dopo il tramonto dell’ideologia socialista. Credo anche che ciò rappresenti una grande opportunità per il liberalismo. Invero, il liberalismo – sia a livello teorico che politico – non è più nelle condizioni in cui è stato per più di un secolo e mezzo; il liberalismo, cioè, non ha più da allinearsi con una visione del mondo conservatrice al fine di opporsi all’affermarsi del socialismo – visto, giustificatamente, come il più grande pericolo per la libertà. Per usare un’analogia storica, potremmo dire che siamo ritornati ad un tempo in cui il dibattito era tra i Whig e i Tories, tra liberali e conservatori – l’età d’oro del liberalismo.
Concludo con due meravigliose citazioni di Hayek: “Che il progresso possa essere più veloce di quanto ci piacerebbe, e che sarebbe più facile da digerire se fosse più lento, non lo negherò. Ma, sfortunatamente, il progresso non può essere dosato. […] Pretendere di conoscere la direzione più desiderabile per il progresso mi sembra la forma estrema di hybris. Il progresso guidato non sarebbe progresso”. E
ancora: “L’uomo non è e non sarà mai signore del suo destino: la sua ragione stessa sempre progredisce guidandolo nell’ignoto e nell’imprevisto dove impara nuove cose”.
In questa visione si colloca la profonda origine comune ed il comune destino del liberalismo e della scienza. Se la comune origine è materia di storia, il comune destino è legato al funzionamento profondo della ricerca scientifica. Perché là dove le comunità scientifiche ed i singoli scienziati non godano di una ampia sfera di libertà “negativa” – per usare il celebre concetto di Isaiah Berlin – non si può avere progresso scientifico. Si possono avere soltanto progressi tecnologici.
Progressi comunque destinati ad esaurirsi, perché è solo una comprensione sempre più profonda della natura che può permettere una tecnologia sempre migliore.
*Ordinario di Logica e Filosofia della Scienza alla Sapienza Roma
Membro della Mont Pèlerin Society
Segretario Generale di Aspen Institute Italia
Componente il Comitato Scientifico di Società Libera
2 di gennaio 2023