La dignità del Parlamento
di Pietro Di Muccio de Quattro
A futura memoria, ora che i presidenti delle Camere sono uscenti e impegnati in campagna elettorale come capipartito, può servire un promemoria sulla dignità del Parlamento, una qualità che dovrebbe stare a cuore soprattutto ai nuovi parlamentari e specialmente ai futuri presidenti.
Dall’antichità sappiamo che “Senatores boni viri, Senatus mala bestia”, una profonda mezza verità. Perché? Perché i buoni parlamentari fanno, al contrario, un buon Parlamento, quanto un buon Parlamento, per altro, rende migliori o almeno inoffensivi i cattivi deputati. Il Parlamento, come istituzione politica, consta di quattro elementi principali: un ordinamento giuridico, i rappresentanti in carica, una sede, la considerazione popolare. Questi quattro elementi, quale più quale meno, concorrono a plasmarne la dignità. Poiché l’essere eletti al seggio parlamentare è, per quanto mi riguarda, il più alto onore civile in democrazia e poiché la Costituzione, che sancisce per tutti i cittadini il dovere di essere fedeli alla Repubblica, impone espressamente di adempiere le funzioni pubbliche con “disciplina ed onore”, ne consegue che la “dignitas” appartiene naturalmente al Parlamento, sicché sminuirla appare oltre tutto autolesionistico se fatto da chi ne è membro o aspira a diventarlo.
Se apriamo un dizionario latino, alla parola “dignitas” troviamo associati i significati di capacità, merito, valore, qualità, e onore, stima, autorità, credito e, ancora, grado, posizione, carica e, persino, bellezza, nobiltà, magnificenza, splendore. Il vocabolario italiano Treccani conferma questi significati e la definisce: “Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a se stesso”. Una mirabile definizione alla quale il popolo, almeno a parole, dice che amerebbe che il Parlamento somigliasse.
Durante una seduta dell’Assemblea, il presidente del Senato, Amintore Fanfani, censurò uno scalmanato senatore apostrofandolo così: “Onorevole senatore, questo è un Parlamento, non un interrompimento!”. C’è stato un tempo in cui, per significare che una persona si esprimeva con locuzioni volgari, scortesi, offensive o semplicemente inurbane, la si stigmatizzava dicendo che “non usava un linguaggio parlamentare”. Negli ultimi tempi, in Italia, bisognerebbe capovolgerne il senso! Mi spingo a dire che l’Aula “sorda e grigia” di mussoliniana memoria diventa spesso simile, purtroppo, a quel “bivacco di manipoli” a cui il vecchio Cavaliere minacciò che avrebbe potuto ridurla. Accade, nella storia, che le aule parlamentari assistano a conflitti durissimi tra le fazioni, fino allo scontro fisico, sebbene di singoli violenti, non di tutti contro tutti. Tali accadimenti, per quanto deprecabilissimi, possono persino essere considerati fisiologici se limitati a casi eccezionali di svolte storiche. In tali casi, purché la volontà della maggioranza risulti incontestabilmente nell’eccezionalità della seduta, il Parlamento non snatura la dignità sua propria, ma la travisa semplicemente e la esprime in forma parossistica, per così dire.
Quando il Parlamento svilisce, fino talvolta a perderla, la sua dignità? Quando, d’ordinario, funziona contro il nome e, invece che organo e luogo di discussione, somiglia a una distratta concione di separati capannelli di rappresentanti. Negli ultimi tempi, i vecchi parlamentari, che non potevano neppure telefonare dall’aula, assistono esterrefatti all’attivismo privato dei giovani colleghi impegnati contemporaneamente a sfogliare giornali, “smanettare” sul computer portatile, chiacchierare tramite cellulare intelligente e, per non annoiarsi del tutto, scambiare sorrisi e battute di circostanza con il prossimo. Non è dignitoso scaldare soltanto lo scranno, per il quale si saranno pure fatte carte false per arrivare a sedersi. Non è dignitoso sentire chi parla senza ascoltarlo. Non è dignitoso farsi gli affari propri mentre l’assemblea è chiamata a fare gli affari di tutti. Non è dignitosa la scompostezza al cospetto della Nazione. Sì, infatti, in Parlamento i rappresentanti sono al cospetto della Nazione e, se si comportano con poca o punta dignità, è come se dileggiassero cittadini ed elettori, non solo l’istituzione parlamentare. Deridere, schernire, beffare i rappresentati è indegno di rappresentanti, specie se la derisione, lo scherno, la beffa vengono perpetrati a scorno di colleghi nella solennità della sede e della seduta.
Dunque, nelle nuove Camere che usciranno dalle urne il 4 marzo 2018, auspichiamo che, prescindendo dal governo e dall’opposizione, sia rappresentato maggioritariamente e trasversalmente, “il partito della dignità del Parlamento” e che questo partito elegga presidenti così autorevoli da saperla ripristinare (ne hanno i mezzi) ogni volta che venga violata, tanto o poco che sia. E già così avremmo approvato una grande riforma, pure altamente pedagogica per ogni altro ramo della società politica e civile, a costo zero.
Newsletter – Anno XVIII – n. 361 del 27 febbraio 2018