I manifesti di Società Libera

Manifesto della Libertà
Manifesto Liberale per la Città
Manifesto Liberale sul Crimine organizzato

MANIFESTO DELLA LIBERTÀ

“Per liberale non intendo una persona che simpatizzi per un qualche partito politico, ma semplicemente un uomo che dà importanza alla libertà individuale ed è consapevole dei pericoli inerenti a tutte le forme di potere e di autorità”
Karl R. Popper

Il movimento culturale “Società Libera” considera essenziali per un efficace sviluppo della comunità i tre parametri che hanno contraddistinto il cammino della Democrazia e del Liberalismo: libertà, responsabilità individuale, uguaglianza delle opportunità.
Convinto che sia la difesa della libertà individuale ciò che caratterizza il Liberalismo, ritiene che si abbia una politica liberale ogni qualvolta venga presa una misura che ampli la possibilità di scelta dell’individuo.
Contrariamente agli statalisti di tutti gli schieramenti, sostiene che l’economia di mercato debba difendere la più diffusa proprietà privata dei mezzi di produzione.

“Chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini”F.A.von Hayek

Libertà dalla politica
Società Libera riconosce l’importanza delle strutture intermedie e dei meccanismi di rappresentanza, ma li considera semplici strumenti di aggregazione e di garanzia e si oppone radicalmente all’espansione della sfera politica in nome di principi assoluti e di un malinteso bene comune.
Ritiene che occorra esercitare una costante vigilanza nel momento in cui aumenta il divario tra legge naturale e produzione legislativa.
Contrariamente a quanti reificano – fanno cioè diventare cose – concetti collettivi come Stato, Nazione, Classe, Partito, sottolinea la centralità degli individui e sostiene quei “corpi intermedi”, dalla famiglia alle comunità, realmente volontarie, che costituiscono un presidio della libertà rispetto alle tentazioni stataliste.
Afferma la rilevanza del principio di sussidiarietà orizzontale. Sulla scia di una lunga tradizione di pensiero (Tocqueville, Rosmini, Stuart Mill, Menger, Mises, Hayek, Popper, Leoni, Einaudi, Salvemini, Sturzo), sostiene che il pubblico (sia esso l’Europa, lo Stato, la Regione o gli Enti Locali) non debba fare ciò che i cittadini singoli, o associati, possono fare da soli.

Libertà di competizione
Contraria a tutti i monopoli pubblici e privati, la visione di Società Libera si radica in quella libertà di ricerca che ha caratterizzato la tradizione occidentale. Libertà di cercare “verità e felicità” senza alcuna ingerenza “innaturale”. Libertà di ricerca e di sperimentazione che va rivendicata senza limiti che non siano quelli etici, nella consapevolezza che la produzione di conoscenza sia un potente fattore di sviluppo economico e modello di impegno civile.
Causa l’inefficacia del quasi monopolio statale dell’istruzione, diversamente dai conservatori ritiene che l’introduzione del “buono scuola” e, nel contempo,una maggiore autorevolezza e competitività dell’ istruzione pubblica siano un percorso capace di innalzare la qualità dell’apprendimento.

Libertà d’informazione
E’ preoccupante la commistione tra interessi politici/economici e proprietà dei mezzi di informazione.
Lo stato e la qualità della televisione, aggravati dalla schiavitù dei dati Auditel, impongono la completa privatizzazione di due reti Rai.

Società Libera, in presenza di una sostanziale crisi di credibilità della classe dirigente, denuncia un mutamento genetico della stessa democrazia rappresentativa che, da forma di governo, si va tramutando sempre più in una mera convenzione.
Contro questa involuzione ritiene necessaria una mobilitazione che irrobustisca il sentimento di appartenenza alla comunità, soprattutto nel momento in cui vi è, in alcune aree, un grave deficit di legalità.
Società Libera avverte la necessità di un neoliberalismo che abbia il senso di un‘avventura intellettuale, di un atto di coraggio; vi è necessità di uno scatto di reni, di una profonda trasformazione culturale, che inizi dallo snellimento della Costituzione nelle sue parti aliberali.
Il senso e la ragione di un movimento come Società Libera consiste in una funzione di supplenza e di stimolo.Questo è il momento di esercitarla. Il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza. Questo è compito di tutti.

IL MOVIMENTO DI OPINIONE
“SOCIETA’ LIBERA”
PROPONE
1. L’abolizione dell’obbligo di iscrizione agli ordini professionali.

2. L’abolizione delle licenze di commercio e la loro sostituzione con un esame di idoneità.

3. L’abolizione degli articoli della Costituzione: 1, 41 (fini sociali dell’impresa), 43 (utilità generale dell’impresa), 59 (senatori a vita).

4. L’abolizione delle “liste bloccate” nelle elezioni regionali.

5. L’abolizione del valore legale del titolo di studio.

6. L’abolizione dei concorsi e la libera scelta dei professori da parte delle singole università.

7. L’obbligo, per lo Stato e gli Enti Locali, di smobilitare le partecipazioni azionarie nelle imprese.

8. La valutazione delle nomine dei membri delle Autorità di Garanzia da parte di un “public contest”.

9. La privatizzazione di due reti Rai, mantenendo una rete di servizio pubblico.

10. L’obbligo per le testate giornalistiche di riportare la composizione delle quote di partecipazione finanziaria nell’impresa editoriale.

11. Un limite al cumulo delle partecipazioni societarie nelle imprese editoriali, intese come stampa e radiotelevisione.

12. L’abolizione del prelievo automatico, dalla busta paga, delle quote sindacali.

13. L’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti

IL POTERE DELLE IDEE VIAGGIA SULLE ALI DELLA PARTECIPAZIONE. A NOI IL COMPITO DI ADERIRE, DI ADERIRE A SOCIETA’ LIBERA.

MANIFESTO LIBERALE PER LA CITTÀ

Redatto da un gruppo di lavoro del Comitato Scientifico di Società Libera, il documento è stato presentato al Convegno, Napoli 16 novembre 2011 – Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, di preparazione della Conferenza ONU di New York “Diritti Umani – Diritto alla Città”

La Carta Liberale per la Città si riconosce nei seguenti principi fondativi:

Individualismo etico: la persona va intesa come un fine in sé, unica fonte di rivendicazione morale legittima; perciò, non può essere riconosciuto alcun valore intrinseco, indipendente e autonomo ad altre entità, quali gruppi, collettivi, classi e comunità. In questa prospettiva, lo stato è uno strumento che può entrare in gioco solo per essere al servizio degli individui ed ove questi ultimi non siano in grado di risolvere autonomamente i loro problemi.

Libertà negativa (principio del danno e pluralismo): la libertà individuale è la garanzia fondamentale che le istituzioni devono assicurare a tutti. Ad ogni individuo deve essere riconosciuto un diritto fondamentale alla “libertà negativa”, compatibile con il medesimo diritto riconosciuto ad altri: l’espressione “libertà negativa” individua quell’idea di libertà, interpretata in termini di non-impedimento e non-interferenza, che ricomprende le libertà di esprimersi, associarsi, detenere proprietà privata, consumare, intraprendere, contrattare. È qui implicita l’idea che ciascuno può perseguire liberamente la propria “concezione della vita buona”, purché consenta anche agli altri di fare altrettanto e senza arrecare loro danni diretti e tangibili. Il pluralismo delle concezioni del bene è, in quest’ottica, un aspetto provvidenziale di una società veramente aperta.

Stato limitato: le norme (che lo stato è legittimato ad emanare per proteggere le libertà individuali ed evitare danni reciproci) devono soddisfare due requisiti fondamentali. Il primo è l’imparzialità delle regole del gioco: le norme devono essere “generali” e “astratte”. Il secondo requisito è rappresentato dalla stabilità e prevedibilità di funzionamento del sistema regolativo complessivamente inteso. In sintesi, lo stato deve agire sia per leges, sia sub lege.

Nel considerare la città un vero e proprio laboratorio di libertà, in quanto, se per un verso le sue dinamiche implicano complessi processi decisionali, per l’altro consentono di affinare le competenze di cittadinanza attiva, IL MOVIMENTO DI OPINIONE “SOCIETÀ LIBERA” AUSPICA UNA POLITICA URBANA LIBERALE, incentrata sia sull’identificazione di ‘vincoli sul modo di produrre vincoli’ (ossia, requisiti procedurali che qualunque amministrazione pubblica locale dovrebbe soddisfare nel varare norme urbanistiche), sia sull’individuazione di “regole/politiche concrete” (ossia, provvedimenti sostantivi e specifici che si ritiene un’amministrazione pubblica dovrebbe adottare) E PROPONE LE SEGUENTI POLITICHE RITENUTE PRIORITARIE.

La città per l’uomo
1. L’uomo deve essere il fine delle politiche urbane, mentre la città costituirne il mezzo attraverso cui sostenere le persone nella loro vita, offrendo loro la possibilità di raggiungere autonomamente i propri scopi come meglio credono e fornendo loro supporto quando necessario. La città deve essere pensata per l’uomo e non viceversa. L’uomo, la sua libertà e creatività sono l’unica vera risorsa.

2. La città da sempre incarna il concetto di complessità e di ricchezza culturale. Oggi però l’emblema è l’entropia generata dalla incapacità a gestire la complessità. Occorre mettere in circolo i saperi per adeguare la città, in crisi, al mutamento della società sempre più interetnica.

3. L’intervento sulle città non può essere soggetto ad alcuna politica o approccio disciplinare che, “imponendo limitazioni e restrizioni che si estendono ad ogni sorta di possibilità (comprese quelle intellettuali) e agli stessi rapporti interpersonali, commettano l’errore di voler sostituire un’idea, del tutto soggettiva e parziale, di ordine urbano alla complessità e vitalità d’uso che danno alle parti di una città struttura e forma appropriate”.

4. Nella costruzione della città liberale, l’interesse pubblico che deve essere più protetto è la garanzia delle libertà individuali.

Tutela dei diritti e modalità di intervento
5. Nel corso dell’Ottocento il diritto di costruire su un terreno di proprietà venne progressivamente limitato con una serie di motivazioni: non soltanto quelle dirette a regolamentare la produzione delle case in quanto bene di mercato o destinate a rendere le costruzioni compatibili tra loro, ma, anche, disposizioni dettate dal programma di migliorare le condizioni di vita secondo i criteri dei pianificatori. Queste ultime norme vanno abolite se ingiustificate.

6. Le regole dovrebbero essere prevalentemente di tipo negativo, ossia volte esclusivamente ad escludere i danni (diretti e tangibili) che l’uso di un suolo potrebbe provocare ad altri. La libertà di costruire deve venire di nuovo assicurata a tutti – perché in Europa il possesso della casa è condizione di cittadinanza e libertà del cittadino – e ciò deve avvenire con strumenti più simili a regolamenti edilizi che a piani regolatori, e in grado di recuperare la plurisecolare conoscenza che si era depositata in essi. Tutti abbiamo infatti sperimentato come le regole dei pianificatori moderni, che quel tipo di strumenti hanno sempre criticato, abbiano invece prodotto periferie anonime e invivibili, impedendo il libero esercizio del diritto di costruire e trasferendolo progressivamente dall’iniziativa dei singoli a quella di pochi imprenditori edilizi, che oggi monopolizzano il mercato.

7. È necessario superare la pianificazione urbanistica basata sullo “zoning”, non soltanto per il perseguimento di un equilibrato mix funzionale nelle diverse parti della città, con l’assicurazione insieme alla sostenibilità sociale e ambientale anche di rilevanti effetti positivi sul sistema della mobilità, ma soprattutto per la più ampia tutela degli interessi diffusi e il conseguente superamento del nefasto intreccio politica/affari.

8. Il tessuto urbano, in grado di rispondere al mutamento sociale, deve poter poggiare su una serie di funzioni nuove che favoriscano il dialogo, la crescita comune, la comunicazione e la coesistenza nel rispetto delle diversità. “L’architettura del dialogo deve essere la ricapitalizzazione delle Diversità, soprattutto di quelle che rappresentano valori positivi”.

9. La nano scienza e le tecnologie relative devono costituire il recupero dell’occasione precedentemente mancata di contribuire alla realizzazione di un sistema integrato di servizi innovativi. Le nanotecnologie sono la chiave per l’ottimizzazione dell’uso delle risorse naturali, per la drastica riduzione della produzione di inquinanti, per la tutela del diritto alla salute, per favorire l’accesso a beni e servizi.

10. Avvicinare la produzione e la fruizione dei beni, servizi, relazioni, informazioni, mediante l’organizzazione reticolare dell’architettura del dialogo e usufruendo delle potenzialità delle tecnologie più avanzate, significa abbattere il vincolo delle prossimità spaziali e produrre un circuito virtuoso che riconnette i vari livelli di intervento in un unico disegno: significa affrontare la crisi urbana attraverso la trasformazione genetica e culturale della società.

11. Il sistema della mobilità deve consentire la più ampia libertà di scambio d’idee, di servizi, di capacità, di personale e di merci. Affinché ciò avvenga è necessario affrontare e risolvere le criticità mediante interventi di razionalizzazione e potenziamento, privilegiando la sperimentazione di nuovi e alternativi modelli organizzativi, quale lo Shared Space che, per effetto dell’assenza di segnaletica, esalta la responsabilità individuale degli utilizzatori (automobilisti, ciclisti e pedoni) in quanto costretti ad una continua negoziazione tra loro dei propri movimenti.

12. La mobilità non deve generare costi illegittimi a terzi, né ambientali né economici. Nessun sussidio né vincolo di sorta deve riguardare la fornitura di servizi di trasporto collettivi. La fornitura di infrastrutture di trasporto, stradali o ferroviarie dovrà essere affidata, per quanto possibile, a meccanismi “di club”, in cui gli utenti potenziali decidano di sobbarcarsene i costi e di godere dei benefici (tasse di scopo negoziate localmente). Va favorito il più ampio spazio per l’innovazione tecnologica nel perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile, con particolare riferimento all’impatto dei servizi digitali sulla mobilità e, conseguentemente, sull’inquinamento e sui consumi energetici.

Separazione netta del ruolo pubblico da quello privato
13. Il soggetto pubblico e il soggetto privato non dovrebbero negoziare o contrattare alcunché in relazione allo sviluppo urbano, né agire congiuntamente tramite forme partenariali. Ognuno dovrebbe svolgere autonomamente il ruolo che gli è proprio.

14. L’ideale della sussidiarietà implica che debbano farsi carico delle esigenze degli individui, partendo dal basso, le realtà sociali o istituzionali più adatte per il compito in questione, e che si possa distinguere tra sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale; è soprattutto quest’ultima che va incentivata.

15. L’impiego del “diritto privato” va incentivato, sia ampliandone lo spazio d’azione, sia introducendo nuovi istituti giuridici. Affinché ciò sia possibile è necessario lasciare il massimo spazio a forme private di regolazione degli usi dello spazio e di fornitura di servizi comuni (comunità contrattuali private), costituite da gruppi di individui che si aggregano volontariamente e in grado di autogestirsi.

MANIFESTO LIBERALE SUL CRIMINE ORGANIZZATO

Il rapporto tra Stato e criminalità si è sviluppato all’interno del binomio “troppo stato” – “poco stato”. Da una parte il “troppo stato” ha contribuito ad alimentare le organizzazioni criminali attraverso la spesa pubblica, l’elefantiasi degli apparati burocratici e la complessità della regolazione normativa, dall’altro il “poco stato” ne ha sviluppato il ruolo di mediazione dei conflitti.

Il controllo penale non basta; se resta solo, fa funzioni di supplenza alla mancanza di una efficace attività di prevenzione. Questa dovrebbe passare per una robusta deregolazione della presenza dello Stato nelle sue articolazioni burocratiche e regolative, una costante e massiccia pratica della legalità, dove dovrebbero costituire comportamenti esemplari proprio quelli degli apparati politico- burocratici, unitamente ad una maggiore etica della responsabilità individuale e collettiva da parte della dirigenza del Paese nel suo insieme.

“TROPPO STATO”
Soprattutto nel mezzogiorno lo Stato è cresciuto e si è sviluppato attraverso apparati burocratici che, a loro volta, hanno aumentato la quantità di regolazione esistente.
La funzione manifesta è stata quella di amministrare la cosa pubblica per elargire beni
e servizi. Quella latente è stata lo sviluppo, il mantenimento e la sopravvivenza di Enti
ed apparati preposti a questa elargizione. Sul primo scambio tra amministrazione e politica (consenso) se ne è innestato progressivamente un secondo tra organizzazioni criminali
e politica.
La massiccia regolazione nella allocazione delle risorse pubbliche ha prodotto opportunità per corruzione e frodi, così come l’espandersi e la scarsa efficienza degli apparati amministrativi delle Amministrazioni locali.

Il “troppo stato”, in sintesi, con costi crescenti e bassa qualità dei servizi erogati, ha favorito ed alimentato le stesse organizzazioni criminali.
La iper-regolazione amministrativa in tutti i settori della spesa pubblica: concessioni edilizie, appalti, spesa sanitaria, autorizzazioni alla creazione di attività imprenditoriali
e tante altre è centrata più sui requisiti formali e meno sugli adempimenti sostanziali.

“POCO STATO”
Per troppo tempo lo Stato è stato complessivamente assente nel Mezzogiorno mancando di una visione globale della questione meridionale all’interno di un progetto nazionale di integrazione.
L’intervento straordinario lo è stato nella spesa ma non nella progettualità. L’incentivazione di processi di industrializzazione attraverso un sistema di contributi a fondo perduto ha attivato iniziative imprenditoriali senza un quadro di riferimento, un progetto e una visione
culturale complessiva.
Le carenze della giustizia civile hanno avuto l’effetto di ostacolare lo sviluppo e alimentare la funzione di mediazione delle organizzazioni criminali come risolutrici di conflitti.

IL PUNTO DI EQUILIBRIO
Lo squilibrio tra “troppo stato” e “poco stato”, all’origine della questione meridionale e della questione criminale, che a quella si sovrappone, ha prodotto un processo di impoverimento economico, culturale ed in molte aree delle stesse libertà individuali.

Cultura della legalità e sviluppo economico sono snodi carenti e ad alta criticità.
Se la criminalità pretende di rappresentare l’anti Stato, lo Stato ha il dovere/necessità
di essere credibile in tutte le sue articolazioni. La pervasività delle organizzazioni è indicativa e misurabile, in molte aree del Mezzogiorno, dalla loro capacità di essere
anti Stato e nel contempo Stato sociale.

Dando per acquisito il ruolo repressivo, è indispensabile operare sul versante del potenziamento della cultura, della pratica della legalità e su quello dello sviluppo economico. Queste sono le leve su cui fare perno e che vanno utilizzate con coerente sincronismo e intelligente flessibilità in un quadro strategico, dove ruolo e presenza
dello Stato trovino un giusto punto di equilibrio.

La lotta alla criminalità passa attraverso una revisione delle regole politiche – amministrative, incluse quelle fiscali, tale da rendere lo Stato non altro rispetto ai cittadini. Passa attraverso un massiccio ridimensionamento dell’apparato burocratico, della vischiosità procedurale, dell’organizzazione periferica dello Stato e della sua invasività.
A parte il controllo penale necessario sulla partecipazione alle opere da parte delle organizzazioni criminali, che andrebbe affrontato non con la certificazione antimafia ma con modelli flessibili capaci di individuare il rischio “infiltrazioni”, è necessario spostare le attività della P.A. dal controllo dei requisiti a quello sui controlli della esecuzione dell’opera.

Il contrasto al crimine presuppone sviluppo economico e opportunità di lavoro che non si può attendere dall’intervento statale, ma da una visione innovativa nel fare impresa e contemporaneamente nel fare sistema da parte delle medio-grandi realtà imprenditoriali.
Per il Mezzogiorno significa fornirsi di un lungimirante piano complessivo di sviluppo economico che assecondi e accompagni la naturale vocazione del territorio.

L’impegno del mondo della cultura è indispensabile per l’efficacia di una manovra corale di contrasto che, partendo dal basso, incida sulle coscienze e generi una mobilitazione etica, capace di implementare meccanismi di persuasione. L’informazione, in tutte le sue articolazioni, può e deve svolgere una concreta azione di stimolo interpretando un significativo ruolo propulsore.

Il contrasto al crimine non si può condurre a compartimenti stagno,
“Un territorio, una popolazione, un’organizzazione criminale”, significa depotenziare la rilevanza e quindi la percezione complessiva del fenomeno che ha ormai dimensione nazionale.

Occorre dar voce ad una vigorosa ed efficace cultura del contrasto, che miri fondamentalmente alla prevenzione e quindi alla riduzione delle condizioni favorevoli al perpetuarsi di un retroterra culturale tanto funzionale al crimine organizzato.