Le velleità europeiste affondano nel Pacifico
Società Libera online
Anno XXI – n. 452 – 21 settembre 2021
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LE VELLEITÀ EUROPEISTE AFFONDANO NEL PACIFICO
di Vincenzo Olita*
È particolarmente semplice interpretare e spiegare i rapporti internazionali, la geopolitica, il peso e l’incidenza della storia nonché il futuro, basta porsi come portatori della buona novella, come custodi di verità e visioni di alto spessore e di adoperarsi per un non meglio specificato progresso dell’umanità. Basta non accorgersi o non dare un giusto peso ad errori, sconfitte, danni e illusioni scaturite dai nostri comportamenti; da veri fideisti, a dispetto di Popper, si ritengono inconfutabili le proprie congetture.
Veri maestri risultano essere gli europeisti tout court che, ad ogni sconfitta, a ogni umiliazione, a ogni ammissione d’impotenza, di una generica Europa ne invocano di più.
La resa dell’Occidente in Afghanistan e l’indecorosa fuga da Kabul, per la NATO e gli europeisti si sono trasformate in brillanti operazioni militar-umanitarie. Analisi e valutazioni sull’accaduto in un ventennio, strategie future, completamente assenti, il rimedio è pronto: una politica militare comune, concretizzabile in una forza di reazione rapida di almeno 5mila unità, non alternativa alla NATO sic! Sembra che giochino a Risiko.
La politica europea ancora non avverte ciò che è chiaro in molte cancellerie del pianeta: crisi e criticità dell’ONU, della NATO e dell’Unione europea. Come Società Libera, forse anche con largo anticipo, lo andiamo sostenendo da anni e oggi, a poche settimane dalla catastrofe afghana, altri avvenimenti internazionali confermano i nostri ragionamenti.
Ipotizzare una forza militare parallela alla NATO, in tutti i casi, significa aiutare gli Stati Uniti ad intravedere per l’Alleanza il viale del tramonto o, al meglio, un suo ulteriore cospicuo depotenziamento con la conseguente perdita d’interesse strategico per l’Ue.
In tutti i casi, occorre dirottare l’attenzione dall’Atlantico al Pacifico, tralasciando l’ieri per il domani prossimo perché è in quest’area che si giocherà anche il nostro futuro.
Nelle considerazioni sull’Afghanistan concludevamo che la prossima grande criticità sarebbe stata Formosa, non avevamo ben chiaro, però, che mentre si chiudeva la scena sulla terraferma asiatica, il grande teatro nelle acque dell’oceano Indo-Pacifico, da tempo, era particolarmente frequentato.
In luglio manovre navali Nippo-Statunitensi, con la presenza di tre sommergibili nucleari USA, testavano anche la capacità di risposta di batterie missilistiche giapponesi in vista dell’ammodernamento totale della difesa antiarea del Sol Levante prevista per il 2022. Yonaguni, l’isola giapponese più vicina a Formosa dista solo 108 Km e a 170 si trovano le isole Senkaku da sempre rivendicate dalla Cina, è lampante, quindi, la preoccupazione nipponica per un’eventuale occupazione cinese di Taiwan. Così come sono spiegabili segretezza e prudenza nel comunicare l’accordo militare Aukus, tra USA, Australia e GB con India e Giappone in retroguardia con cui è già previsto un vertice il 24 settembre della Quad, alleanza anti cinese già in essere.
E la NATO? Sebbene una propaggine di Washington, non è stata coinvolta e neppure informata a conferma di un’acclarata pesante perdita di potenzialità della sua missione. Inefficace la reazione francese con le dichiarazioni del ministro degli Esteri Le Drian che ha parlato di “pugnalata alla schiena” e “di ripercussioni sulla NATO”, quali? Ha fatto finta di dimenticare che lo stesso Macron nel novembre 2019 dichiarava: “Siamo alla morte cerebrale della NATO”. La messa all’angolo della Francia è evidente, oltre che per la perdita della commessa sui sommergibili australiani, per il tramonto della sua immagine imperiale che qualsiasi governo ha sostenuto nel dopoguerra e che il quinquennio macroniano, con il suo europeismo in salsa francese, ha accompagnato al crepuscolo. Eppure la sera della sua ascesa all’Eliseo dichiarava: “Stupiremo il mondo!”
Da non sottovalutare poi, l’Alto Rappresentante dell’Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell che ha specificato: “L‘Unione europea non è stata consultata ed è pronta ad analizzare le ripercussioni dell’accordo”. Riconosciamolo, è un impiegato che suscita grande tenerezza.
Dal 21 al 24 settembre si parlerà sicuramente di Aukus all’Assemblea generale dell’ONU e, a conferma della sua paralisi, non ci sarà alcuna risoluzione che possa prendere in considerazione la necessità di un arresto della proliferazione nucleare nel Pacifico e il contemporaneo depotenziamento del rischio Formosa.
Non si intravede per il mondo nel suo complesso un tranquillo futuro prossimo, certezze istituzionali, alleanze planetarie, organismi di pacificazione vanno ripensati e riprogettati, questo il compito di una dirigenza internazionale che fosse almeno all’altezza di quella operante nel secondo dopoguerra. Ma questa è un’altra preoccupante storia.
* Presidente Società Libera
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