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LA DISAFFEZIONE

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Anno XXIV- n. 559- 01 dicembre 2024

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Liberae Sunt Nostrae Cogitationes

di Roberto Caucchioli *

Le ultime, recenti, elezioni regionali in Emilia e Umbria, hanno confermato la disaffezione dell’elettorato nei confronti dei partiti e delle loro proposte.

Il voto della maggioranza ha comunque designato vincitori e sconfitti, orgogliosamente felici i primi, provvidi di giustificazione i secondi. Entrambi tacitamente concordi nell’ignorare o sottostimare che circa la metà degli aventi diritto non si sono recati ai seggi elettorali.

Proviamo ad interrogarci sulle motivazioni del disinteresse alla politica, fenomeno che si è fortemente accentuato negli ultimi decenni.

L’entusiasmo, per la politica, del primo dopo guerra con la riconquistata libertà, e con il suffragio alle donne, anni di forti, talvolta violenti, dibattiti all’ombra di vessilli ideologici espressi prima nelle piazze e poi successivamente nei seggi elettorali, quando votare, esprimere la propria preferenza, era un diritto-dovere inalienabile, si è gradualmente sopito.

La disaffezione, il minor coinvolgimento non tanto ai pettegolezzi politici, ma all’impegno del voto è andato gradualmente scemando; in modo particolare dopo il 92, l’anno che ha segnato la crisi irreversibile della Prima Repubblica e degli ideali post-bellici. Da quel momento tutto è cambiato. Passando dal “turiamoci il naso” di montanelliana memoria al voto ostinatamente contro.

Per arrivare alla fase della qualunquistica astensione motivata dal tanto uno vale uno. Slogan politico che fortunatamente sembra aver avuto vita breve.

Il presente è caratterizzato dal post- idealismo, i vecchi ideali sono tramontati, ne rimangono stinte tracce solo in qualche saggio a modesta tiratura.

L’attualità il momento che viviamo è quello che il filosofo Vattimo definiva del “Pensiero debole.” Con questo non è morto l’idealismo, o almeno non ne abbiamo ancora celebrato il funerale, si è semplicemente trasformato in un realismo opportunista, di opportunità da cogliere all’istante, di brevi convenienze, di politica commerciale. La politica è diventata una partita di scambio, una merce a disposizione del miglior acquirente. È venuto a mancare ciò che non volevamo più, si è realizzata l’eterogenesi dei fini: eliminati i vecchi stantii idealismi ci mancano gli ideali i “luoghi” della discussione, le ragioni che vanno oltre il quotidiano, il senso del sociale, in qualunque modo si voglia intenderlo.

È questa la nuova realtà? Forse sì! Ma, l’uomo può limitarsi a trascorrere il suo tempo nel hic et nunc, nel continuo ripresentificarsi del presente?

Crediamo di no! Gli animali vivono esclusivamente il presente, l’uomo guarda al passato per immaginarsi, per costruirsi il futuro. Ricerca nel passato, nella sua storia collettiva, in un passato talvolta più idealizzato che reale, le sue radici e su queste immagina, forgia il suo futuro e quello dei suoi simili.

L’uomo è animale metafisico, non si accontenta di ciò che vede, che tocca, non accetta che tutto sia riducibile all’esperienza empirica. Per questo ha inventato le religioni e con queste la morale, le ideologie sulla base dell’ethos. La modernità ha allentato i rapporti, ci ha resi più longevi, più sani e informati, ci sta offrendo aspettative impensabili fino a solo pochi decenni fa, ma non può averci ontologicamente cambiati.

Rimaniamo, ancora, il zòon politikon descritto da Aristotele. L’uomo continua a voler essere soggetto del suo futuro, individuale e sociale.

Ma, in questo momento, non ce ne rendiamo conto!!!