Concessionarie autostradali: come cambiare
di Giorgio Ragazzi
La tragedia del ponte Morandi ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sul ruolo delle concessionarie. Il Governo ha dichiarato l’intenzione di revocare la concessione all’ ASPI (Autostrade “per l‘Italia”).
L’istituto delle concessione si giustifica in teoria per l’idea che opere pubbliche possano essere finanziate con capitali privati, e poi devolute allo Stato a fine concessione, senza oneri per il bilancio pubblico. Ma questo non è storicamente mai avvenuto in Italia: il grosso della rete fu costruita, negli anni ’60 e ’70, tutta a debito, quasi sempre con garanzia dello Stato, mentre gli azionisti, IRI compresa, versavano solo pochi spiccioli in conto capitale. Rimborsati i debiti con il gettito dei pedaggi, invece di devolvere le infrastrutture allo Stato come previsto dai contratti, le concessioni sono state via via e spesso più volte prorogate “gratuitamente”: veri e propri regali grazie ai quali i concessionari hanno iniziato ad arricchirsi senza alcuna giustificazione.
La via delle proroghe gratuite fu iniziata per facilitare la privatizzazione della Autostrade e consentire quindi un rilevante incasso all’IRI, ma ne beneficiarono anche tutti gli altri concessionari, in primis il gruppo Gavio (per la storia delle proroghe e delle rivalutazioni monetarie rimando al mio libro “I Signori delle Autostrade”, il Mulino).
Gli unici che hanno pagato allo Stato (o meglio all’IRI) somme rilevanti per la concessione sono stati gli azionisti della Schemaventotto (controllata al 60% dai Benetton) che, a fine 1999, versarono 2,5 miliardi per il 30% della Autostrade. Nei cinque anni successivi i pedaggi aumentarono del 21%, con un incasso complessivo di oltre 11 miliardi, mentre gli investimenti venivano contenuti al minimo, appena il 16% di quanto previsto nella convenzione e nell’atto aggiuntivo. Si creava quindi un ampio polmone finanziario che consentiva alla Schemaventotto di lanciare un’OPA totalitaria sulla Autostrade che si concludeva, nel febbraio 2003, portando la quota di Schemaventotto all’84% circa. Questo acquisto, con un esborso di circa 6 miliardi (quanto incassato dall’IRI per la vendita di tutta la società), venne finanziato interamente a debito tramite una newco poi subito fusa nella Autostrade: così Schemaventotto passò dal 30 all’84% della Autostrade senza sborsare un euro, accollando alla società un debito che questa avrebbe ripagato coi pedaggi.
Successivamente Schemaventotto fece cassa cedendo le quote in esubero rispetto a quanto opportuno per mantenere il controllo e così, dopo appena tre anni, recuperò quasi interamente quanto pagato all’IRI, restando però al controllo di una società con ancora 30 anni di concessione e profitti attorno al miliardo l’anno.
Un affare davvero strepitoso per i Benetton e loro coazionisti, senza il minimo rischio! E pare che oggi, in caso di revoca della concessione, possano chiedere una penale indennizzo di 20 miliardi!
Tornando alle concessionarie, mentre non hanno storicamente svolto un ruolo socialmente utile, oggi sono divenute una palla al piede per l’economia, perchè investono in Italia solo una piccola parte del cospicuo flusso di cassa che deriva dai pedaggi: gran parte del resto viene investito all’estero o per diversificare in altri settori, mentre i pedaggi gravano sulla mobilità e riducono la competitività dell’economia. Nel 2017 ASPI ha avuto un margine operativo lordo di 2.450 milioni ma ne ha investiti nella rete solo 517. La holding Atlantia acquista invece quote del Tunnel sotto la Manica, il controllo della spagnola Abertis ed altri investimenti all’estero.
In sostanza lo Stato, a partire dall’infausta privatizzazione della società Autostrade, ha regalato quasi tutta la rete autostradale a soggetti che di soldi, all’origine, ne hanno investiti pochissimi, ma non si può reclamare oggi quanto donato, i contratti devono essere rispettati e i regali non possono essere revocati.
Per revocare la concessione all’ASPI il Governo dovrà dimostrare che vi sia stata grave inadempienza da parte della concessionaria; quand’anche riesca ad esibire prove in tal senso è scontato che la società farà opposizione sul piano legale, non solo in Italia, aprendo controversie forse assai lunghe e dagli esiti imprevedibili, anche per gli eventuali oneri a carico dello Stato. Esistono anche altri modi per eliminare gradualmente questo bubbone cresciuto nella nostra economia. Innanzi tutto occorrerebbe evitare qualunque nuova proroga e abrogare almeno qualcuna delle tante proroghe concesse dal ministro Delrio, quando sia possibile farlo senza violare contratti, come sembrerebbe possibile ad esempio per l’Autobrennero.
I profitti delle concessionarie potrebbero poi essere contenuti con una valutazione più rigorosa degli investimenti e riducendo l’oltremodo generoso tasso al quale vengono oggi remunerati.
Si dovrebbe infine stabilire il principio che quando una concessione scade l’opera venga devoluta allo Stato, come previsto dal contratto, senza essere né prorogata né rimessa in gara. Quando un’autostrada è stata ammortizzata il pedaggio diventa per lo più un’imposta e, se non si riduce il pedaggio, è meglio allora che la riscuota lo Stato piuttosto che un concessionario.
Lo Stato può ben gestire “in house” le nostre autostrade senza che per questo si debba parlare di “nazionalizzazione”. Lo Stato può facilmente appaltare in gara le due funzioni svolte dalle concessionarie, manutenzione ed esazione dei pedaggi, senza assumere alcun dipendente pubblico e con vantaggio per trasparenza e concorrenza. Il gettito dei pedaggi in genere copre ampiamente il costo di nuovi investimenti, che potrebbero essere appaltati con gare aperte invece che riservate a imprese controllate delle concessionarie.
Ci sono due casi in cui un tale cambiamento di politica potrebbe essere applicato da subito: quelli della Torino-Piacenza e dell’ATIVA, entrambe controllate dal gruppo Gavio, con concessioni già scadute ed opere già ammortizzate e che non necessitano di nuovi investimenti. Aspettiamo di vedere.
Newsletter – anno XVIII – n. 376 – 27 agosto 2018