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Ciò che apparentemente non abbiamo visto nell’incontro in Alaska

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Anno XXV- n. 584- 18 agosto 2025

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Liberae Sunt Nostrae Cogitationes

di Riki Sospisio *

Gli incontri diplomatici tra grandi potenze spesso rivelano meno nelle dichiarazioni ufficiali che nei sottintesi sottili di ciò che viene concordato o deliberatamente omesso. Il primo incontro bilaterale tra Stati Uniti e Russia in Alaska ne è un chiaro esempio.

Mentre l’attenzione dell’opinione pubblica si è naturalmente concentrata sugli scontri retorici e sulle dichiarazioni formali, un’attenta lettura della dichiarazione congiunta e dell’agenda stessa rivela realtà più profonde: il riconoscimento di interessi reciproci, una tacita comprensione dei limiti e una ridefinizione dell’equilibrio strategico in regioni lontane tra loro come l’Artico e l’Europa orientale.

Un primo scambio bilaterale: definire l’agenda

Questo incontro non è stato un vertice multilaterale con una moltitudine di attori, ma piuttosto un dialogo diretto e bilaterale. Questo fatto da solo ha determinato il risultato. Ha significato che le due parti si sono concentrate non sulla scena mondiale o sul simbolismo, ma su questioni concrete e di reciproco interesse, ovvero quelle aree in cui sia gli Stati Uniti che la Russia vedevano la necessità di chiarezza, coordinamento o tacito compromesso.

L’elemento più importante non sono state le divergenze superficiali, ma la formulazione della dichiarazione congiunta, in cui entrambe le parti hanno affermato:

“La Russia e gli Stati Uniti hanno profondi interessi comuni”.

Nonostante tutte le tensioni che hanno caratterizzato le loro relazioni negli ultimi decenni, questa dichiarazione ha un peso notevole. Implica che le controversie, per quanto aspre, rimarranno contenute in un ambiente controllato. Né Washington Mosca desiderano che il confronto sfoci in un’escalation incontrollata. Ciò implica una forte garanzia: le armi nucleari, sia strategiche che tattiche, non sono strumenti da utilizzare in alcun confronto che coinvolga direttamente o indirettamente i due paesi. Entrambi riconoscono il rischio esistenziale di superare tale soglia.

Questa intesa va oltre i propri arsenali. La dichiarazione suggerisce un accordo sul fatto che non dovrebbero emergere nuove potenze nucleari. L’Iran, in particolare, rimane il punto di riferimento ovvio: né la Russia né gli Stati Uniti hanno interesse a vedere Teheran entrare nel club nucleare.

L’Artico: una Yalta moderna nei mari polari

Il tema più importante di questo primo incontro è stata la regione dei mari polari. Gli osservatori hanno giustamente paragonato questo incontro a una sorta di “Accordo di Yalta polare”. Proprio come la Conferenza di Yalta durante la Seconda guerra mondiale ha definito le sfere di influenza, il dialogo in Alaska ha silenziosamente delimitato le responsabilità e il riconoscimento nel teatro artico, sempre più vitale per l’energia, le risorse e il commercio.

I contorni del compromesso:

• La Russia riconosce la supremazia degli Stati Uniti sulla Groenlandia, l’Islanda, le   Svalbard e i territori artici statunitensi.

• Gli Stati Uniti riconoscono la Terra di Francesco Giuseppe e la piattaforma continentale artica come appartenenti alla Russia.

• Entrambe le parti accettano un quadro trattato di libera navigazione ed esplorazione nelle acque artiche.

Per la Russia, il quadro è contrastante. Da un lato, viene confermata la sua legittimità sui territori artici chiave. Dall’altro, il Paese rimane fortemente dipendente dalla tecnologia, dalle aziende e dalle partnership americane per sfruttare appieno le immense ricchezze sottomarine e dei fondali marini della regione. Senza la cooperazione degli Stati Uniti, Mosca non ha la capacità di sviluppare la frontiera artica.

Per gli Stati Uniti, i vantaggi sono altrettanto significativi. La libera navigazione attraverso le rotte artiche potrebbe ridurre drasticamente i costi di trasporto tra il Nord America e l’Asia, in particolare Cina, Corea del Sud, Vietnam e Giappone. La “scorciatoia polare” cambierebbe l’economia del commercio transpacifico, dando a Washington sia flessibilità strategica che vantaggio commerciale.

Simbolicamente, questo incontro è stato il primo vero dialogo “alla pari” tra i leader della più grande potenza territoriale del mondo (la Russia) e della potenza tecnologicamente più avanzata del mondo (gli Stati Uniti). L’incontro non ha riguardato solo i dettagli della geografia artica, ma è stato un riconoscimento reciproco di potere, legittimità e status.

Tuttavia, in un altro senso, ha anche segnato un’altra pietra sulla tomba della legittimità delle Nazioni Unite. Ancora una volta, accordi decisivi tra le grandi potenze sono stati raggiunti al di fuori delle istituzioni multilaterali, segnalando che i veri negoziati mondiali avvengono in contesti bilaterali esclusivi, non in assemblee formali.

Infine, l’incontro ha toccato il tema dell’Ucraina. Il linguaggio congiunto ha indicato di trattarla come un problema regionale, con Mosca e Washington posizionate come i “padrini” di qualsiasi accordo. Ciò equivale a un tacito riconoscimento: la Russia riconosce gli Stati Uniti come fattore di stabilità nella regione, mentre Washington ammette che il ruolo centrale di Mosca non può essere ignorato.

Europa: in attesa fuori dalla porta

Se l’incontro in Alaska ha suggerito una nuova intesa tra Washington e Mosca, ha anche rivelato l’assenza dell’Europa dal tavolo delle decisioni. L’Europa non ha un “numero di telefono unico da chiamare”, come affermò Henry Kissinger, e quindi non ha una voce unitaria nel plasmare risultati di questa portata.

I leader europei, nonostante tutte le loro ambizioni, si trovano essenzialmente ad aspettare inviti, come se fossero in attesa di un ballo del lunedì sera a Washington, dove riceveranno istruzioni piuttosto che opportunità di discutere o negoziare su un piano di parità.

Per l’Europa, l’unico sollievo tangibile dall’Alaska è la sensazione che, per il momento, lo spettro nucleare si sia allontanato. Sapere che la Russia e gli Stati Uniti manterranno le loro controversie entro limiti controllati offre una certa sicurezza all’opinione pubblica europea.

Ma al di là di questo, il messaggio all’Europa è preoccupante:

• La Russia continuerà a esercitare pressioni sui paesi confinanti, qualunque sia l’evoluzione della situazione in Ucraina.

• L’Europa avrà bisogno di un’autorizzazione per svolgere il proprio ruolo nella rotta artica emergente, sempre più strategica per il commercio mondiale.

• I conflitti chiave alla periferia dell’Europa – Ucraina, Kosovo, Serbia, Libia, Tunisia, Algeria – saranno trattati come problemi regionali, con soluzioni che dovrebbero emergere principalmente dalla capacità politica e finanziaria dell’Europa stessa, non da un intervento decisivo degli Stati Uniti o della Russia.

In sostanza, all’Europa viene ricordata la sua limitata capacità di azione. I leader del continente possono desiderare di plasmare gli eventi, ma rimangono strutturalmente dipendenti dalla volontà di Washington e dalle pressioni di Mosca.

Una riflessione conclusiva.

Winston Churchill una volta osservò che “è meglio incontrarsi faccia a faccia che andare in guerra”. L’incontro in Alaska, nonostante il linguaggio attentamente misurato e i silenzi simbolici, incarna questo principio. Per la Russia e gli Stati Uniti, parlare direttamente, anche quando i disaccordi sono forti, rimane più vantaggioso che cercare di distruggersi a vicenda.

La lezione più profonda dell’Alaska, quindi, non sta nei titoli dei giornali, ma nelle correnti sotterranee: il riconoscimento reciproco dei limiti, la demarcazione dell’influenza artica, la silenziosa emarginazione dell’Europa e la garanzia che la catastrofe nucleare sarà evitata. In un’epoca in cui la rivalità tra grandi potenze definisce la politica globale, questi accordi silenziosi potrebbero contare più delle dispute pubbliche.

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